• Interventi

Il ritorno di Torquemada

di Giovanni Giovannelli

Quello che sia da notare nel caso della maestra Lavinia Flavia Cassaro, e di come il timore del tiranno sia la molla del suo governare.

Con decreto n. 7830/2019 (qui allegato per esteso) il Tribunale di Torino ha dichiarato legittima la destituzione della maestra elementare Lavinia Flavia Cassaro, rigettando il suo ricorso volto ad ottenere la riammissione in servizio e condannandola a versare al ministero, per rimborso delle spese legali, la complessiva somma di euro 5.106,92. La destituzione nel pubblico impiego è un provvedimento equivalente al licenziamento per giusta causa nel settore privato e comporta dunque la cessazione definitiva del rapporto di lavoro.

La vicenda è nota per via della risonanza mediatica. Il 22 febbraio 2018, a Torino, ci fu una partecipata manifestazione di protesta, contro la partecipazione di Casa Pound con una propria lista alle elezioni politiche che si dovevano tenere il mese dopo. Di fronte al corteo fu schierata una barriera di poliziotti, armati e muniti anche di idranti per bloccare la sfilata. In pieno inverno piemontese gli antifascisti furono raggiunti da getti di acqua gelida e attaccati dagli agenti, senza che nulla fino a quel momento giustificasse una simile decisione; riportano le cronache che mentre la polizia attaccava una ventina di neofascisti insultava i manifestanti dalle transenne. A questo punto Flavia Cassaro sbottò per qualche attimo, gridando con indignazione la propria rabbia per quello che stava accadendo. A seguire ci fu l’intervista volante a cura della troupe inviata sul posto dalle reti Fininvest e la dichiarazione di Matteo Renzi: va cacciata su due piedi! In piena campagna elettorale il segretario del PD utilizzava la televisione di Berlusconi e in piena armonia con la coalizione di centro destra invocava sanzioni contro i centri sociali. La diffusione del video, che immortalava la maestra e preparava il suo licenziamento, divenne quasi ossessiva.

Tomas de Torquemada (1420-1498) era il figlio di due conversos, gli ebrei spagnoli diventati cattolici per sottrarsi alla persecuzione; divenne celebre per aver costruito, come Inquisitore Generale, la nuova struttura organizzativa del Tribunale dell’Inquisizione, distinguendosi per le direttive – istructiones -  di estremo rigore con cui si gestivano i processi volti a verificare che la conversione di marrani (gli ebrei) e moriscos (i musulmani) fosse effettiva e non simulata. Perfino il Papa Alessandro VI (babbo di Lucrezia Borgia) trovò che il Torquemada fosse troppo spietato e lo fece ritirare in convento; ma già in soli 15 anni di gestione le procedure furono circa 100.000, al ritmo di 15 per singolo giorno!

L’uomo era malvagio, ma a modo suo geniale; per questo il suo fantasma rimane una perversa suggestione, coltivata dai  governanti italiani che non nascondono il loro desiderio di punire ogni forma di riottoso dissenso, rapidamente e senza formalità. Si è venuto così a creare una sorta di collettivo Torquemada costituito dalla filiera dei funzionari, in ordine gerarchico, unitariamente capace di utilizzare al meglio le strutture disponibili e di preparare le condanne grazie alla gogna mediatica.

La prima inquisitrice, a ruota di Matteo Renzi, è stata Valeria Fedeli, una maestra di scuola materna, allora al vertice del MIUR e oggi nel Consiglio di amministrazione della Fondazione Agnelli. Costei ebbe a millantare una laurea mai conseguita in scienze sociali; scoperta confessò, nel dicembre 2016, di aver commesso una leggerezza per mezzo di una lettera inviata ad un quotidiano, senza lettori, la vecchia Unità. Mentre trovava perfettamente normale, in veste di ministro dell’istruzione, dichiarare il falso sul proprio titolo di studio e rimanere salda al suo posto, la Fedeli non esitava a chiedere invece l’immediata sospensione dal servizio della povera Cassaro, il cui sfogo era giudicato incompatibile con l’insegnamento ai bimbi della scuola primaria (da 6 a 10 anni).

Immediatamente il secondo inquisitore, Fabrizio Manca, direttore dell’ufficio scolastico piemontese, provvedeva a comunicare con decorrenza 1 marzo 2018 la rimozione cautelare della maestra, aprendo il procedimento disciplinare. Il solerte funzionario, nella sua contestazione, aveva aggiunto, per rinforzo, una sequenza di ulteriori pretesi comportamenti illeciti di Flavia Cassaro nell’esercizio dell’insegnamento elementare, quasi si trattasse del risultato di una indagine e a solo una settimana di distanza dai fatti. Questa anomalia non ha mai trovato una convincente spiegazione.

Nel frattempo un terzo inquisitore, il sostituto procuratore dottor Antonio Rinaudo, oggi ormai in pensione ma in quel momento protagonista della guerra contro i No Tav, iniziava ad indagare in ordine ad un possibile oltraggio (341 bis codice penale). La sanzione prevista per questo reato era stata un tempo ritenuta irragionevole dalla Corte Costituzionale, così che questo delitto venne depenalizzato con legge 205/1999. Ma, successivamente, l'ipotesi criminosa fu restaurata, nel testo attuale, con la legge 15.7.2009 n. 94, senza tuttavia indicazione di pena minima e dunque convertibile in sanzione solo pecuniaria. L'evocazione di un possibile delitto giungeva però a proposito, rafforzando l’impianto accusatorio. Per chi avesse voglia di approfondire il tema rinviamo a www.notav.info/senza-categoria/strane-amicizie-del-pm-rinaudo nelle varie puntate disponibili di questa interessante inchiesta.  

Il provvedimento di destituzione, comunicato in data 8 giugno 2018, fu emesso dal quarto inquisitore, il misterioso Ufficio Competente Provvedimenti Disciplinari, struttura ministeriale che sembra partorita da un Paolo Villaggio. La scelta di questo organismo è stata quella di abbandonare la strada impervia indicata dal dottor Manca, rinunziando ad improbabili addebiti ulteriori perché palesemente indifendibili nel corso di un giudizio, e concentrandosi invece sulla trasmissione televisiva Matrix, unica fonte di prova e arbitro assoluto della vicenda in forma di Tribunale Mediatico, quinto inquisitore degno di questa odierna società dello spettacolo. Come annotava Vittorio Alfieri nel 1809 (Della tirannide, libri due): dove alligna l’Inquisizione alligna indubitabilmente la tirannia.

Flavia Cassaro ha proposto ricorso al Tribunale di Torino, ma il sesto inquisitore, il Giudice Mauro Mollo, ha dato ragione al Ministero; calcolando l’importo netto percepito da una maestra la condanna alla rifusione delle spese prevista nel decreto, e disposta in favore del MIUR con immediata eseguibilità, ammonta a circa quattro mesi di retribuzione. Ecco una punizione esemplare: via il lavoro e in aggiunta un pesante indebitamento! Ha subito commentato favorevolmente questo verdetto il quotidiano sovranista Il primato nazionale già nel giorno successivo alla pubblicazione, elogiando e facendo proprio il contenuto della motivazione.

Colpirne una per educarne cento

Il dottor Mauro Mollo è conosciuto, per quel che possono valere simili considerazioni, come un magistrato democratico, prudentemente progressista. Questo non deve stupirci. Anzi. Per una sorta di ritrosia, o forse di malintesa tutela preventiva da peraltro improbabili fulmini dei poteri reazionari, i giudici che coltivano una propria sensibilità sociale sentono il bisogno di essere i più decisi nel sanzionare le ribellioni più clamorose, senza concedere attenuanti. Pensano – ma qui si sbagliano di grosso - che così facendo acquistino maggior forza le sentenze rese in favore degli umili. A leggere le motivazioni verrebbe spontaneo rivolgersi  al dottor Irvin D. Yalom, presso la Stanford University, piuttosto che al Giudice di piena cognizione e alla Corte d’Appello. Ma le regole procedurali in vigore non lo consentono e i difensori di Flavia Cassaro debbono rassegnarsi a prenderne atto, facendo quello che possono. Ma la decisione rimane sconcertante, anche (e soprattutto) se esaminata secondo il filtro di un tradizionale liberalismo conservatore.

La motivazione

 In apertura il dottor Mollo ricostruisce la carriera della maestra, illegittimamente mantenuta in condizione precaria dal 2007 al 2016, osservando, acriticamente e dunque con una oggettiva complicità, che la stabilizzazione fu riconosciuta nel settembre 2016, 18 mesi prima della cacciata. Nove anni per ottenere il posto e circa tre minuti per essere destituita, senza pietà. Il Giudice riconosce che la destituzione venne deliberata per la sola condotta posta in essere nel corso della manifestazione (e che dunque gli ulteriori addebiti erano privi di fondamento), ma non trae da tale osservazione alcuna conseguenza giuridicamente rilevante.

Il decreto si fonda esclusivamente sui filmati e sull’intervista a Matrix. Non viene invocata alcuna recidiva (art. 499 d.lgs. 297/94); in base al filmato e all’intervista viene esaminata l’ipotesi della sanzione più grave, quella di cui all’art. 498 del decreto, senza che sia tuttavia presa in considerazione ogni ipotesi ridotta, di censura o di sospensione fino a un massimo di sei mesi (articoli da 492 a 497). Eppure questo era uno dei temi centrali della controversia.

Il Giudice ritiene apprezzabile il sincero spirito antifascista di Flavia Cassaro e riconosce che la nostra Costituzione si pone come antitesi rispetto alle nostalgie di Casa Pound; ma pur essendo lecito manifestare (e meno male, dottor Mollo!) non può essere consentita la violenza per manifestare il dissenso.

E qui la contraddizione vizia il ragionamento, perché pacificamente l’unica violenza, almeno fino al momento dei fatti, fu quella delle cariche e degli idranti, non certo della maestra. La ricorrente non è stata coinvolta in questi scontri  viene scritto nella decisione del Tribunale, precisando anche una durata di pochi secondi. Ma questa, curiosamente, sarebbe una sorta di aggravante, che rendeva immotivata la scelta di insultare gli agenti. L’inquisitore giudicante non accetta che una persona possa protestare contro una violenza in danno di altri, ma considera possibile solo il reagire a bastonate ricevute in proprio. Ancora: secondo l’inquisitore torinese Flavia Cassaro era consapevole che ci fossero ben quattro telecamere a riprenderla, dunque doveva mettere in conto la diffusione virale dei filmati. Conclude il Giudice: la diffusione sebbene non sia stata decisa né messa in atto dalla ricorrente è indubbiamente frutto del suo comportamento. Non si può secondo il dottor Mollo cambiare natura alla Fininvest e ai suoi giornalisti; dunque la colpa deve ricadere, interamente, sulla vittima. La peccatrice si era per giunta isolata dal resto dei manifestanti, fronteggiando in provocatoria solitudine i poliziotti, quasi come il cinese della famosa foto davanti al carro armato.

La sentenza, enunciata la premessa, procede a legittimare la punizione esemplare: l’elemento che connota gravemente la condotta della ricorrente è il ruolo che costei svolge alla dipendenze della pubblica amministrazione. E qui il dottor Mollo richiama, un po’ incautamente, una decisione della Corte di cassazione, a suo dire adatta al nostro caso (776/2015). Si trattava di un dipendente postale (privato, non pubblico) che per le sue mansioni maneggiava denaro e valori, condannato penalmente, già in via definitiva, per usura e per estorsione. In quel caso si ritenne che poteva essere risolto il rapporto per il venir meno del vincolo fiduciario e per la cattiva immagine che sarebbe ricaduta sulla società. Secondo il Tribunale inveire contro la polizia per motivi politici in piazza va equiparato all’estorsione e all’usura!

La considerazione successiva sembra quasi un’opera surrealista, o un’invenzione di Carlo Emilio Gadda. La maestra elementare ha per funzione a che fare con bambini che non hanno ancora sviluppato un senso critico e sono quindi portati ad assorbire tutto ciò che viene trasmesso loro dall’insegnante (cito testualmente, sembra incredibile ma ha scritto proprio questo). Poiché, secondo il dottor Mollo, gli alunni della maestra Cassaro assorbono tutto quello che fa la docente, imitandola poi nei comportamenti, allora deve essere cacciata da scuola, subito, onde evitare che dilaghi il disprezzo per lo Stato e i suoi componenti tenuto da una persona che dovrebbe essere un modello (sentenza, pagina 6).

In sintesi gridare, dopo una carica e un getto d’idrante contro il corteo, ai poliziotti dovete morire vigliacchi e aggiungere provocatoriamente la disponibilità a trattare la questione quando volete senza manganelli costituisce a parere dell’inquisitore violenza (verbale, ma violenza) e aggressione. E questo basta a concretare l’ipotesi più grave, ovvero attività dolosa capace di portare pregiudizio alla scuola, alla pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie; pregiudizio rilevabile in ragione della grande diffusione che ha avuto l’evento nella pubblica opinione.

Il buon senso dovrebbe suggerire un ripensamento. Fra l’altro la Corte di cassazione (recente sentenza n. 12.662/2019) ha deliberato la legittimità di una sospensione della procedura in attesa del giudizio penale e forse sarebbe stato saggio attendere. Soprattutto considerando che il reato di oltraggio, in un caso come questo, è di assai dubbia sussistenza, avuto riguardo proprio alla sequenza di fatti accertati e alle modalità. E, qualora mai un oltraggio potesse ravvisarsi, siamo certamente nell’ambito di sanzioni pecuniarie sostitutive.

Il decreto legislativo applicato dall’inquisitore torinese (297/94) non prevede solo la destituzione, che rimane il provvedimento riservato ai casi più gravi (art. 498). A prescindere dalla semplice censura (art. 493) l’art. 494 applica la sospensione fino a un mese per gravi negligenze o in generale per la violazione della correttezza, dei doveri e delle responsabilità. Ancora l’art. 495 estende la sospensione fino a sei mesi  quando le infrazioni rivestano particolare gravità. Mentre l’art. 496 chiarisce che detta sospensione interviene dopo una condanna per reati puniti con pena massima non inferiore a tre anni, ma con responsabilità accertata almeno in grado di appello; e l’oltraggio non supera i tre anni, limite massimo invalicabile.

In realtà, a ben vedere, nessuna delle sei ipotesi previste dall’art. 498 per la destituzione ricorre nel caso della maestra Cassaro, neppure le due indicate in motivazione dal Tribunale (ovvero il contrasto grave con i doveri connessi alla funzione o l’attività dolosa che porti pregiudizio alla scuola, all’amministrazione, agli alunni e alle famiglie). Certamente siamo al di fuori della attività di insegnante e altrettanto certamente il video mostra una manifestante e non una maestra. Nessuno (almeno quasi nessuno) poteva identificare Flavia Cassaro o riconoscere nel breve video la maestra elementare di una scuola torinese; solo l’intervento inquisitorio della Fininvest, di Matteo Renzi e del ministro Fedeli ha provveduto a montare artificiosamente il problema, preparando la gogna mediatica. Ma non si tratta solo di questo. Il punto è che, cadute e abbandonate tutte le altre accuse connesse invece alla funzione, la protesta solo verbale di una cittadina casualmente anche maestra è stata oggetto di un attacco spietato, cancellando l’unica possibilità di accesso al reddito di sopravvivenza e aggiungendo un pesante indebitamento.

Una cupio punitionis si è impadronita di un magistrato solitamente mite e lo ha trasformato in un novello Torquemada. Dovete morire ha gridato la maestra Cassaro, indignata; e l’indignazione era legata al fatto oggettivo della legittimazione riconosciuta ad una organizzazione politica apertamente nostalgica del nazifascismo, dichiaratamente erede dei principi politici che avevano caratterizzato la dittatura mussoliniana e la cosiddetta Repubblica di Salò. Non solo Casa Pound era ammessa alla partecipazione elettorale, ma la Polizia di Stato si era schierata in assetto di guerra contro chi manifestava dissenso, attaccando con idranti e manganelli una sfilata fino a quel momento assolutamente pacifica. Dovete morire! mostra indignazione, più che costituire oltraggio. Quante volte abbiamo sentito questa frase scandita negli stadi di calcio, nelle liti paesane, nelle feste universitarie, perfino in occasione di matrimoni, battesimi, compleanni? Chi la grida forse non ne è consapevole, ma la frase altro non è che l’antico memento mori espresso in linguaggio moderno, è una espressione da ricondurre dentro la tradizione popolare. Memento mori trae origine da una particolare usanza dell’antica Roma. Quando un generale rientrava in città dopo la vittoria conseguita in battaglia gli si ricordava di evitare la superbia e di non cedere alle lusinghe del potere. Divenne il motto dei monaci trappisti ed ebbe grande diffusione durante la Controriforma; dovete morire!  annunciava il gesuita Paolo Segneri, il più celebre oratore del seicento, durante le prediche, invitando al pentimento e al rifiuto del peccato. Mettendoci il proprio corpo per sottolineare l’indignazione la giovane donna disarmata ha detto agli agenti armati che era pronta a discutere quando volete senza manganelli (sentenza, pagina 5, in nota); e per manifestare il proprio dissenso ha ricordato ai suoi interlocutori che stavano sbagliando schierandosi in difesa dei neofascisti. Dovete morire contiene, in fondo, l’ingenua speranza che i militi potessero ravvedersi, con una visione per certi versi più pasoliniana che marxista leninista. Questa è comunque la sostanza, stravolta dall’inquisitore torinese: di indignazione si trattava e non di altro.

La nostra maestra non possiede le capacità oratorie del Padre Segneri e la sua indignazione divenne, in quel contesto, facile preda dei professionisti dell’informazione, branco di lupi contro un agnello isolato. Ma licenziarla per questo ci pare davvero troppo; la vicenda ci avverte della china in cui va precipitando il paese, anche grazie a decisioni avventate e palesemente contrarie al buon senso come questa torinese. L’opzione autoritaria si articola variamente e conferma come prevalga oggi, dentro l’apparato di governo, l’idea di diffondere la paura dentro le moltitudini. Si promuove il timore del tiranno proprio perché esso è la molla del suo governare. Manca ormai solo il giuramento di fedeltà, l’auto da fé; ma i tempi sono maturi.

Il segnale dato con il decreto Cassaro pare, infatti e subito, raccolto. Già altre insegnanti, nell’isola di Sicilia, vanno trovando i loro inquisitori locali, come riportano quotidianamente le cronache. Chi semina vento, dottor Mollo, è noto che finisce con il raccogliere tempesta.

SEDE

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