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Lavoratrici in gravidanza. Condotta discriminatoria di ITA Airways

di Michelangelo Salvagni

La condotta discriminatoria di ITA Airways nella procedura di selezione delle lavoratrici in gravidanza.

Corte App. Roma, Sent. 06.02.2024, n. 475, Pres. Rel. Casablanca, P.A. L. e M.M. (Avv.ti T. Laratta e F. Verdura), nonché Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Roma Capitale (Avv. G. Baldoni) c. ITA Airways – Italia Trasporti Aereo S.p.a. (Avv.ti M. Marazza e D. De Feo).

“E’ discriminatoria la condotta del datore di lavoro che, in un processo di selezione del personale relativo ad un piano di assunzioni, esclude le prestatrici in ragione del loro stato di gravidanza”.

  1. Considerazioni preliminari.

La fine è nota! La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 6.2.2024, n. 475, ha accertato la discriminazione subita da parte di due lavoratrici, in ragione del loro stato di gravidanza, e consistente nella loro mancata assunzione da parte della società ITA.

Il caso, vista la fattispecie discriminatoria che ha interessato le lavoratrici, sembrerebbe di semplice soluzione ma, in realtà, è stato contraddistinto da provvedimenti caratterizzati da diverse soluzioni interpretative. In breve, una prima decisione che accertava la discriminazione e condannava la società solo ad un risarcimento del danno; un successivo provvedimento che ribaltava completamente le statuizioni del primo giudice e respingeva le domande delle ricorrenti, dichiarando l’insussistenza della condotta discriminatoria e del conseguente danno; da ultimo, la sentenza della Corte di appello di Roma che, invece, nel confermare la condotta discriminatoria, ha condannato la società al risarcimento del danno, conseguente alla accertata discriminazione, ma, soprattutto, a differenza delle statuizioni del primo decreto del Tribunale di Roma, ha ordinato “la rimozione degli effetti della condotta discriminatoria mediante la selezione e assunzione” delle lavoratrici quali assistenti di volo.

 

  1. Il caso di specie.

La vicenda riguarda due ex-assistenti di volo di Alitalia che si erano candidate per essere assunte dalla Compagnia Aerea ITA Airways, presentando regolare domanda di “adesione” e che, tuttavia, non erano state chiamate per la selezione.

Le lavoratrici, mediante ricorso ex art. 38 del D.Lgs. n. 198/2006, avevano convenuto in giudizio la società, deducendo, in punto di diritto, che si fosse configurata nei loro confronti una discriminazione nella procedura di assunzione in ragione del loro stato di gravidanza e maternità.

Le ricorrenti, inoltre, ai fini della dimostrazione del comportamento discriminatorio, in breve, avevano dedotto ed eccepito quanto segue: a) in prima istanza, indicato, a fini statistici, il nominativo di altre sette lavoratrici in gravidanza, del pari escluse dalla selezione; b) che i criteri di selezione adottati dalla società, nella scelta dei lavoratori assunti, risultavano del tutto oscuri; c) che nessuna lavoratrice in stato interessante fosse stata selezionata o assunta sia all’inizio del piano assunzionale che negli anni successivi, secondo le modalità di realizzazione dello stesso come previste dagli accordi con le Parti Sociali.

Sulla questione occorre peraltro evidenziare che, in ragione del rilievo della vicenda discriminatoria oggetto di causa, nel corso del giudizio interveniva, ex art. 36, n. 2, D. Lgs. n. 198/2006, la Consigliera di Parità della Città Metropolitana di Roma Capitale. Intervento giustificato dal ruolo istituzionale della Consigliera di Parità, che, tra i suoi scopi, ha proprio quello di promuovere l’uguaglianza di genere sul luogo di lavoro e nella società in generale. In particolare, tale organismo, nel costituirsi in giudizio, aveva prontamente eccepito che la società, sin dall’inizio del reclutamento del personale, aveva l’onere di rispettare una proporzione numerica sull’assunzione delle lavoratrici madri (gravidanza o puerprerio); adempimento questo che, tuttavia, non risultava in alcun modo rispettato, proprio in ragione della mancanza di prove fornite in tal senso nel corso dell’istruttoria.

  1. Il decreto del 22 marzo 2022 del Tribunale di Roma ex 38, D.Lgs. n. 198/2006: l’accoglimento della tesi discriminatoria e il risarcimento del danno da perdita di chance senza diritto all’assunzione.

La vicenda veniva decisa, in prima battuta, con decreto ex art. 38, del D.Lgs. n. 198/2006, emesso dal Tribunale di Roma in data 23 marzo 2022, che accertava la discriminazione posta in essere da parte della Compagnia Aerea per la mancata assunzione delle lavoratrici in gravidanza, condannando la società al risarcimento del danno da perdita di chance, quantificato in 15 mensilità delle relative retribuzioni (con riferimento a tale primo arresto, sia consentito rimandare a M. Salvagni, La mancata assunzione di lavoratrici in gravidanza configura una discriminazione: ITA Airways condannata a pagare il risarcimento del danno da perdita di chance anche in funzione dissuasiva, LPO News, del 13 aprile 2022).

Il Tribunale giudicava fondate le “allegazioni” formulate dalle ricorrenti in termini di condotta discriminatoria, comprovate anche mediante l’indicazione dei nominativi di altre sette lavoratrici non selezionate in ragione dello stato di gravidanza. Sul punto, il giudice capitolino affermava che la società, in base del principio di vicinanza della prova, al fine di confutare la discriminazione avrebbe dovuto indicare i nominativi delle lavoratrici, tra le 412 assistenti di volo assunte nel periodo oggetto di analisi, che si trovavano in stato interessante. Le mancate informazione da parte della società su tale aspetto, avvalorava la veridicità delle allegazioni delle lavoratrici, ossia che neppure una delle 412 assistenti di volo assunte fosse in gravidanza.

Il giudice osservava, in tema di ripartizione dell’onus probandi, che non è richiesta la prova della conoscenza e dell’intento consapevolmente discriminatorio relativamente lo stato di gravidanza, in quanto la discriminazione opera oggettivamente, come stabilito dall’art. 40 del D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198. Con riferimento poi all’argomento difensivo della società (il possesso di un’adeguata certificazione che consentisse l’espletamento della prestazione), a parere del Tribunale la deduzione risultava smentita dalla documentazione in atti. Le ricorrenti, infatti, al momento in cui avevano presentato la domanda, erano in possesso dei requisiti per ottenere l’abilitazione di volo per operare a bordo in qualità di membro di equipaggio di cabina (anche perché le lavoratrici già possedevano tale requisito quali assistenti di volo della precedente Compagnia Aerea). In ordine, tuttavia, alla tutela applicabile in considerazione dell’accertamento della condotta discriminatoria, il giudice non accoglieva la domanda delle ricorrenti volta ad obbligare la società ad assumerle, esorbitando dal potere giudiziale la costituzione coattiva di un rapporto di lavoro. Condanna, questa, che verrebbe a confliggere con le prerogative riconosciute al datore di lavoro in base ai principi espressi dall’art. 41 Cost. Il Tribunale, tuttavia, accoglieva l’azione risarcitoria dal momento che alle lavoratrici, proprio a causa della condotta illegittima della società convenuta, derivava un danno visto che, in sostanza, la domanda di assunzione non era stata presa neppure in considerazione. Ciò determinando un risarcimento del danno da perdita di chance, quantificabile nell’importo pari a 15 mensilità della retribuzione mensile, tenuto conto sia del periodo di astensione dal lavoro antecedente il parto, sia dei sette mesi successivi dalla nascita del figlio. Condanna risarcitoria che, a parere del giudice, esprimeva anche una funzione dissuasiva perché elide il vantaggio che la società resistente aveva inteso assicurarsi evitando l’assunzione.

  1. Il giudizio di opposizione: la sentenza del 23 gennaio 2023 che respinge la tesi della discriminazione.

La Compagnia Aerea, avverso il decreto del 22 marzo 2002, presentava rituale opposizione innanzi al Tribunale di Roma, proponendo nuovamente le deduzioni ed eccezioni non accolte dal primo giudice. Occorre sin da subito evidenziare che il magistrato capitolino incentrava il proprio ragionamento decisorio sul tema dell’onere della prova in materia di discriminazione, richiamando sul punto le disposizioni e gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia e della Cassazione in materia di parità di trattamento e discriminazione.

Tuttavia, il giudice, sulla base delle disposizioni antidiscriminatorie, riteneva non fondata la dedotta discriminazione. La mancata selezione delle lavoratrici in stato interessante sarebbe stata correttamente determinata da ragioni oggettive nella selezione del personale da assumere: in altre parole, l’esclusione era giustificata dalla scadenza dei certificati di abilitazione denominati RT. 

Il Tribunale di Roma riteneva non dimostrata la discriminazione in quanto le lavoratrici avrebbero dovuto fornire in giudizio la prova che non fosse necessario il possesso della certificazione RT per operare sui voli e per partecipare alla selezione di assunzione. Aggiungendo ancora sul punto, che risultava “ragionevole ritenere che, visto il ridotto lasso temporale a disposizione per avviare le operazioni di volo, la società ricorrente abbia privilegiato il personale con le certificazioni valide, anziché avviare procedure di aggiornamento delle certificazioni scadute ovvero in scadenza”.

Per completezza d’indagine, però, va dato conto che le ricorrenti, in realtà, avevano puntualmente eccepito, da una parte, che già possedevano tale requisito, visto che avevano lavorato in qualità di assistenti di volo presso la precedente Compagnia Aerea; dall’altra, che tale certificazione RT, in realtà, non fosse una vera e propria abilitazione di volo, ma solo una attestazione di frequenza ad un corso di aggiornamento.

Il magistrato, infine, con riguardo al danno da perdita di chance conseguente alla mancata possibilità di partecipare alla selezione, riformava il primo provvedimento sulla base delle seguenti argomentazioni: da una parte, poiché le lavoratrici non avevano contestato la circostanza che la società aveva dedotto che, al 28 giugno 2022, risultavano assunte 549 assistenti di volo, su un numero programmato di 2.800 assunzioni; dall’altra, visto che il piano assunzionale era ancora in corso, le medesime ben avrebbero potuto ripresentare la loro candidatura.

Il Tribunale osservava, inoltre, che in alcun modo la partecipazione alla procedura di selezione possa attribuire al lavoratore un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione. Ciò perché, prosegue sul punto la parte motiva, il datore, ai sensi dell’art. 41 Cost., ha “discrezionalità nella scelta dei candidati da assumere, nel rispetto dei limiti legali e di eventuali criteri di selezione resi a monte della procedura, cui si sia vincolato”. Gli unici criteri di selezione vincolati, pertanto, erano quelli adottati dalla società e contenuti nell’Accordo con le Parti sociali.

Concludeva il Tribunale, alla luce di tali evidenze, che la società aveva fornito “validi elementi di natura oggettiva, atti a dimostrare di non aver proceduto all’assunzione delle resistenti per ragioni di natura tecnico-organizzativa”. Condotta giustificata dall’urgenza di reperire personale di volo, visto che le lavoratrici avevano in scadenza (o era scaduta) la certificazione RT e, soprattutto, perché la società non risultava a conoscenza dello stato di gravidanza delle prestatrici; circostanza questa ultima che, a parere del giudice, le lavoratrici non avevano né contestato specificatamente né, comunque, provato. 

  1. La sentenza del 6 febbraio 2024 della Corte di Appello di Roma: l’accertamento della discriminazione, la ripartizione degli oneri probatori e il diritto delle lavoratrici all’assunzione.

A questo punto, in base a quanto sin qui evidenziato, appare interessante comprendere quale sia stata la soluzione offerta dalla Corte di appello di Roma, con riferimento al riconoscimento o meno di una condotta discriminatoria nella vicenda in esame. In altre parole, come i giudici di appello siano riusciti a “districarsi” rispetto alle statuizioni dei precedenti provvedimenti del Tribunale di Roma (decreto e sentenza), così diversi tra loro, in termini sia di qualificazione della vicenda discriminatoria sia della ripartizione degli oneri probatori, 

La Corte di Appello di Roma, innanzitutto, ha censurato la sentenza di opposizione affermando che, in realtà, le ricorrenti, secondo la ripartizione degli oneri probatori stabiliti dalle norme antidiscriminatorie, avevano dedotto e, quindi, allegato, di essere in stato di gravidanza e di non essere state chiamate per partecipare alla selezione, nonostante le medesime avessero manifestato la loro disponibilità all’assunzione. A supporto di tale tesi avevano anche indicato i nominativi di altre sette lavoratrici che, trovandosi anche loro nelle medesime condizioni delle istanti, non erano state chiamate a partecipare alla selezione.

Sul punto, la Corte territoriale ha osservato che, a fronte di tali elementi, la società era un’onerata a dimostrare il fatto contrario, ovvero di aver proceduto a convocare, selezionare ed assumere altre lavoratrici in gravidanza. Circostanza questa determinante, quale elemento di comparazione e verifica, per escludere l’invocata discriminazione. Prova che, secondo la Corte di appello, la società non ha in alcun modo fornito in giudizio. Al riguardo, i giudici capitolini hanno correttamente affermato che la discriminazione, alla luce delle tutele approntate dal D.Lgs. n. 198/2006, opera obiettivamente a prescindere sia della conoscibilità da parte del datore dello stato di gravidanza sia dell’accertamento della intenzionalità della condotta discriminatoria adottata. E’ principio consolidato, in materia di discriminazioni basate sul sesso, come confermato dalla Corte di Cassazione con riferimento all’art. 40 del D.lgs. n. 198/2006 (cfr. sul punto i provvedimenti di legittimità citati dalla sentenza in esame: Cass. ord. n. 3361/2023; Cass. 5476/2001 e conf. Cass. 255543/18), che vi sia una attenuazione del regime probatorio in favore della parte ricorrente, la quale “è tenuta solo dimostrare un’ingiustificata differenza di trattamento o una posizione di particolare svantaggio, dovute al fattore rischio tipizzato dalla legge, competendo poi al datore la prova dell’assenza della discriminazione”.  Presupposti questi che trovano ulteriore forza cogente grazie alle disposizioni stabilite sia dall’art. 28 del D.Lgs. n. 150/2011, che consentono la prova presuntiva di ordine statistico, sia dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54.    

Sotto altro profilo, i giudici di secondo grado hanno censurato la sentenza del Tribunale di Roma anche sul punto della presunta mancanza, da parte delle ricorrenti, delle necessarie abilitazioni al volo, le cosiddette certificazioni RT. Il Collegio ha invece ritenuto che la certificazione RT non fosse un requisito essenziale per la selezione e assunzione, ma che si trattasse di un “aggiornamento, ovvero di una rivalidazione della certificazione che richiede l’impiego di appena due giornate di corso e avviene periodicamente per tutti lavoratori assunti addetti al settore e in vista delle rispettive scadenze”. Dalla documentazione prodotta in atti, infatti, era risultato provato che la convocazione per il corso di “addestramento” era stata comunicata ai prestatori successivamente alla loro assunzione; ciò a dimostrazione che tale requisito non fosse necessario al fine di operare a bordo del vettore e, quindi, non rappresentasse un ostacolo all’assunzione. Peraltro, circostanza questa ignorata dal giudice di opposizione, era emerso che nell’annuncio depositato in atti, e volto alla selezione degli assistenti di volo, non era richiesto il certificato RT in corso di validità, ma solo il possesso dell’attestato equipaggio di cabina valido, requisito che le lavoratrici in gravidanza già avevano e che mai, peraltro, era stato contestato nei loro confronti.

A parere della Corte di Appello (che in concreto in merito ha richiamato gli stessi principi su cui si era basato il primo provvedimento del Tribunale di Roma), l’istruttoria aveva dimostrato che il piano di assunzione previsto per il periodo 2021-2025, e formalizzato con Accordi Sindacali (in particolare il punto 4, del verbale accordo del 2.12.2021), aveva programmato complessivamente l’assunzione di 5.750 lavoratori, mediante incrementi progressivi e che, al momento del giudizio, era stato realizzato per oltre il 50%. Infatti, la teste chiamata dalla stessa società, ossia la coordinatrice della gestione del personale di terra e viaggiante, aveva confermato che, con riferimento agli obiettivi previsti per le nuove assunzioni, era risultato che vi erano state circa 2.925 assunzioni nel 2022, e circa 1.675 nel 2021. Pertanto era emerso che, all’epoca dei fatti, rispetto all’obiettivo del piano assunzionale, la fase del reclutamento non poteva considerarsi solo all’inizio; nel tempo, peraltro, secondo i dati sopra evidenziati, la situazione delle assunzioni non era mutata. L’unica circostanza costante, rispetto alle selezioni e alle assunzioni effettuate dalla società, era la mancata considerazione e selezione delle candidate in stato in gravidanza.

I giudici di secondo grado, viste tali evidenze probatorie, che confermavano la mancata assunzione di prestatrici in stato di gravidanza, hanno ritenuto accertata la discriminazione.

Per concludere, si evidenzia che la decisione della Corte territoriale si distingue, rispetto ai precedenti provvedimenti, per aver dichiarato, in ragione della accertata discriminazione, il diritto delle lavoratrici a partecipare alla selezione e ad essere assunte dalla società; accertamento che, invece, la prima decisione del Tribunale di Roma del 22 marzo 2022 non aveva riconosciuto.

In merito, la Corte territoriale ha preso specifica posizione anche sul principio della libertà imprenditoriale ex art. 41 Cost., sul quale il giudice dell’opposizione aveva fondato le proprie ragioni. Al riguardo, è stato affermato che tale “libertà” non “può essere di ostacolo” all’applicazione delle disposizioni stabilite dal D.lgs. n. 198/2006, poiché la tutela che la legge appresta contro le discriminazioni “non opera sul piano di obbligazioni derivanti da norme che regolano il rapporto di lavoro, ma si muove sul diverso ambito rispondente all’esigenza di eliminare gli effetti pregiudizievoli dipendenti da prassi atti o comportamenti discriminatori”.

La Corte di Appello di Roma, applicando quindi le previsioni del D.Lgs. n. 198 del 2006 (artt. 36, 55, 55 ter, ecc.), ha stabilito che, in ragione dell’accertata natura discriminatoria della condotta aziendale, “consegue l’accoglimento della domanda volta alla cessazione del comportamento e degli effetti discriminatori che non può che essere integrato se non con la selezione e successiva assunzione delle candidate”. Al fine di supportare tale assunto, la Corte capitolina ha affermato un principio di fondamentale importanza - all’apparenza semplice e naturale rispetto all’iter logico seguito nel ragionamento decisorio - che rafforza e rende effettiva la tutela delle lavoratrici contro le condotte discriminatorie subite. Infatti, in maniera condivisibile, il Collegio ha osservato che “arrestarsi al mero accertamento della discriminatorietà, senza ulteriori conseguenze, vanificherebbe l’intento del legislatore che vuole invece approntare una tutela piena e specificatamente volta alla rimozione degli effetti degli atti discriminatori, che non sarebbe perseguita limitando il provvedimento ai soli aspetti dichiarativi e risarcitori”.

D’altronde, per il caso di specie, quale maggior sanzione antidiscriminatoria efficace se non quella di costituire il rapporto con la società, dato che l’ostacolo che non aveva consentito la selezione e l’assunzione era, in realtà, solo lo stato di gravidanza.

Infine, per completezza d’informazione, occorre evidenziare che la società è stata altresì condannata al risarcimento del danno in ragione della discriminazione, determinato in € 22.206,90, in favore di ciascuna ricorrente.

Michelangelo Salvagni, avvocato in Roma

 

 

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