La presa della Bastiglia e l’Europa
di Francesco Andretta
Il 19 aprile la Commissione UE ha avviato la procedura di infrazione INFRA(2014)4231 perché l’Italia non si è adeguata correttamente alla Direttiva 70/1999/CE, che disciplina il lavoro a termine, e non ha predisposto nel proprio ordinamento tutele dissuasive ed effettive per i precari pubblici come quella della trasformazione in tempo indeterminato.
La procedura di infrazione trova le sue fondamenta giuridiche sul capo 71 della sentenza Sciotto della CGUE, causa C-331/17, del 25.10.2018 di cui all’epoca nessun giornale o editoriale televisivo diede notizia; anzi pare che la politica dell’epoca impartì l’ordine di non divulgare la notizia perché troppo eversiva.
La pronuncia della Corte UE sancisce che i lavoratori precari che non possono accedere alla trasformazione in tempo indeterminato in ragione del divieto di conversione imposto dal perseguimento del vincolo di bilancio sono discriminati rispetto ai lavoratori che, invece, possono diventare a tempo indeterminato. Il che, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro.
La sentenza riguardava i lavoratori dello spettacolo dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche; istituzioni dirette a tutelare il patrimonio artistico e culturale italiano della danza e dell’opera sinfonica e lirica che gode di così tanta fama e bellezza nel mondo da essere riprodotto in qualsiasi nazione di elevato upgrade culturale: praticamente quasi in tutto il mondo. Ossia in breve, l’identità culturale degli italiani. La disciplina del lavoro a termine delle fondazioni lirico sinfoniche si assesta esattamente sulla linea di demarcazione tra l’impiego privato e quello pubblico: le fondazioni, pur essendo private, devono rispettare, anche per le assunzioni a termine, il vincolo di bilancio e l’esperimento delle selezioni concorsuali.
Sulla base della sentenza Sciotto, la Commissione UE ritiene che i lavoratori, sottoposti al divieto di conversione, debbano essere stabilizzati. L’interesse non è solo quello di rispettare il primo dei pilastri che regge l’Unione Europea (la politica occupazionale), ma anche gli altri due, che, nella questione in esame, risultano essere direttamente concorrenti: la protezione sociale e l’equilibrio di bilancio. Sì, anche l’equilibrio di bilancio, perché, del tutto ragionevolmente, la Commissione osserva che il mercato economico e finanziario comune è fondato sulla propensione al consumo e, dunque, sull’accesso al credito finanziato. Sicché soltanto la solvibilità di un lavoro a tempo indeterminato può far accedere i lavoratori a maggiore consumo e, per l’effetto, alla crescita degli investimenti, della produzione, della ricchezza e della corretta distribuzione della ricchezza. Nulla che un buon padre e madre di famiglia già sa.
La politica resta inerme da anni; anzi, con le riforme annunciate, vuole trasformare l’Italia in una Repubblica fondata sul lavoro precario, su quella che è una evidente schiavitù contrattuale. E mentre il popolo ed i sindacati dovrebbero prendere la “Bastiglia” per rivendicare con determinazione il diritto fondamentale ad un lavoro stabile con il quale concorrere alla crescita del Paese, l’Europa soccorre e cerca di fare giustizia. Forse l’Europa non è solo una intesa bancaria. O forse l’intesa delle banche è che un lavoro precario non serve a nessuno, nemmeno a loro.